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I Vichinghi - Parte prima - pagina 2

Se i vichinghi sono noti storicamente per le loro razzie e distruzioni in tutta Europa a partire dal basso medioevo, molto meno nota è la lunga storia precedente dei popoli scandinavi in cui essi si inseriscono. Essa ha origine circa dodicimila anni fa, con migrazioni di gruppi nomadi eurasiatici verso Nord. Si trattava di cacciatori, pescatori, raccoglitori che sapevano fabbricare, in base a quanto riportato alla luce, archi e frecce, coltelli e raschiatoi, arpioni, lance e barche in pelle, e addomesticare cani. Fu circa nel VI millennio a.C. che il clima, divenuto gradatamente più mite, permise la crescita della vegetazione  in territori molto settentrionali, fattore che favorì ulteriormente le migrazioni, l'adattamento, la caccia e la pesca. I colonizzatori settentrionali si avventurarono anche in alto mare per catturare foche e balene, e svilupparono la costruzione di imbarcazioni leggere, che potevano essere smontate e trasportate. Erano ricavate da tronchi di frassino, con elementi tenuti insieme da cinghie di cuoio; il legno veniva trattato con olio e grasso di balena per renderlo impermeabile all'acqua salata. I nodi, bagnati ripetutamente con acqua di mare durante la lavorazione, divenivano perfettamente solidali con la struttura, che era infine ricoperta da pelli di bue tese e cucite con uno spago di lino.

Fra il IV e il III millennio a.C. il territorio scandinavo si arricchì di foreste di conifere, querce, tigli e olmi, fornendo un materiale facile da lavorare anche con utensili di pietra. L'agricoltura e l'allevamento delle renne, per lavoro e alimento, andò di pari passo con l'aumento della popolazione. Tuttavia il terreno deforestato, ricco di humus solo in superficie, non sopportava molte stagioni di sfruttamento intensivo. Grazie all'esperienza accumulata, ai contatti già sviluppati, possiamo presumere che i nomadi scandinavi iniziassero già in quel tempo a viaggiare, sia per vie di terra che per mare, per scambiare merci o procurarsene razziando. L'una cosa non escludeva l'altra, e fino a tempi storici più recenti avvenne normalmente.

Questi popoli, che lasciarono pochi ma costanti segni per millenni, seppellivano i loro morti vicino agli abitati; e dall'Età del Bronzo in poi costruivano tumuli ricchi di suppellettili, prova evidente delle radici eurasiatiche. È durante la prima Età del Ferro, nell'ultimo millennio a.C. che cominciarono a caratterizzare le sepolture come barche, sagomate con pietre grezze nel terreno, ponendone due più rilevate alle estremità per simulare la prua e la poppa dell'imbarcazione funebre. Così come l'organizzazione nomadico-tribale restò fondamentale in quella cultura, nonostante la probabile parentesi legata alla scoperta e allo sviluppo dell'agricoltura, l'idea del viaggio divenne elemento fondamentale anche per la fede e il culto dei morti.

A seguito dell'espansione celtica che coinvolse gran parte del continente europeo all'inizio dell' Età del Ferro, almeno un millennio prima della nostra era, i popoli settentrionali rimasero tagliati fuori dai contatti con l'Europa meridionale, entrando in un lungo periodo di isolamento e di probabile decadenza, se si considera l'immiserirsi delle suppellettili funebri risalenti a tale epoca. Delle tribù che compongono le etnie nordiche si tornerà a sentir parlare al momento delle invasioni barbariche. Qualche notizia delle loro terre e qualche nome tribale vengono riportati da Plinio il Vecchio e soprattutto da Tacito. Egli ci descrive i suioni, in cui non è difficile ravvisare gli svea (svíar o svéar) antenati degli svedesi e, dettaglio importante, ci parla delle loro imbarcazioni dalla prua e poppa identiche, non mosse da vele ma manovrate a remi che, non essendo fissi, potevano essere spostati da un lato all'altro. Si trattava già di un tipo di canoa dal fondo piatto, adatta a navigare anche nei corsi d'acqua e a permettere una rapida fuga senza necessità di girare lo scafo. Tale caratteristica sarà spesso presente nella descrizione delle razzie vichinghe.

Bisognerà arrivare a Cassiodoro, ministro e consigliere di Teodorico, che vanterà, in un testo ormai perduto scritto appositamente a gloria delle origini dei goti, di una loro radice scandinava. Tale conoscenza verrà ripresa da Giordane, a metà circa del VI secolo d.C. Egli ci riporta un dettaglio interessante quanto ermetico circa la politica di Teodorico. Descrivendo i rugi del Rogaland, parla di uno degli ultimi sovrani, Roduulf: «...che avendo in ispregio il proprio regno, si affrettò dal re Teodorico dei Goti e trovò quel che cercava...». (Gwjn Jones, p. 35)

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