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Mentre la città dell'Aquila nel giorno dell'anniversario del
martirio di S.Giovanni Battista, il 29 agosto di ogni anno, promuove solenni
festeggiamenti per commemorare l'elezione a sommo pontefice "del molisano
eremita Pietro del Morrone" e l'istituzione della Bolla della Perdonanza a
favore di questa sua amata città, nel Molise, invece, rimane in piedi la gara
fra paesi che si contendono gli onori di avergli dato i natali. La gara più
appassionata si svolge, com'è noto, tra il «castello» di S.Angelo Limosano e
il «castello» di S.Angelo in moenia od extra moenia (entro o fuori le mura) di
Isernia, tirando, ognuno dalla propria parte, i lembi di una coperta ormai
striminzita per le scarse, frammentarie, sparpagliate notizie che si hanno
sull'argomento. Nella nota introduttiva al libro «I castelli di Pietro - tutte
le verità sulle origini di Celestino V» (Macchia d'Isernia, ottobre 1996),
l'autore, Antonio Grano, dice bene quando afferma che ancora oggi - e sono
trascorsi quasi 800 anni da quel lieto evento - è possibile, anche se difficile,
individuare con esattezza il luogo in cui nacque Pietro del Morrone.
L'informazione vera, egli aggiunge, quella giusta è ancora riposta in quel
coacervo di notizie pervenuteci dal secolo XIII ad oggi.
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Bisogna, però, distinguere fra le testimonianze addotte dai coevi, dai testimoni
oculari e quelle postume, così come fece Giuseppe Celidonio un secolo fa, prima
di mettere mano a quella grande opera critica sul santo di Sulmona: «S. Pietro
del Morrone - Celestino V.» (Sulmona, 1896).
Le scarse, frammentarie e sparpagliate notizie pervenuteci dai testimoni coevi
sull'argomento «patria» di Pietro Angeleri, se non inserite in un contesto
storico, che le unisce, le comprende e le fa proprie, non portano da nessuna
parte. «Come un mosaico, con le sue tessere multicolori, che da sole sono
soltanto frammenti, mentre, sapientemente unite e ordinate, assumono forme,
immagini, vita, il mosaico, appunto». Da parte mia, lungi dall'idea di voler
incrementare le polemiche, mi limito ad esaminare ed inquadrare nel suo contesto
geo-politicostorico quel passo dell'autobiografia dove Pietro d'Angeleri, unico
testimone di se stesso, e con l'umiltà che gli è propria, parlando di sé in
terza persona singolare, ha chiamato patria sua «un luogo» da cui egli, con il
socio, è partito per Castel Di Sangro: «Di 20 anni uscì dalla sua patria e col
socio avviossi in Castel di Sangro..., ove giunse all'incirca l'ora nona del
giorno seguente».
Correva l'anno pressocché 1230 ed era un giorno della stagione invernale quando i
due soci uscirono dal convento benedettino di Santa Maria in Fayfulis che si
trovava, così come si trova ora, in agro di Montagano nel contado di Molise,
allorché il novizio Pietro d'Angeleri, futuro papa Celestino V, chiamò patria sua
quel «ceno» luogo.
A Faifoli fra Pietro del Morrone ci tornò dopo 45 anni circa nella veste di Abate
di quel convento, dove sostenne una causa civile contro il feudatario del luogo,
il ghibellino Simone de Sancto Angelo per il possesso di due casali con i
rispettivi poderi. Questa lite, che si protrasse per sei anni è riportata nei
registri della cancelleria Angioina ed è raccontata pure dai discepoli
contemporanei, suoi biografi, nelle loro memorie scritte sulla «Vita» del
Maestro. Questi, inoltre, attestano che Pietro d'Angeleri aveva indossato, per
primo, l'abito della santa religione proprio nel convento di Santa Maria in
Faifoli che era nella provincia in cui egli stesso era oriundo: «... quod
erat in provincia unde ipse existerat oriundus». |