Ma qui la parola provincia non ha il significato che le diamo noi
oggi, bensì è usata al posto della parola «feudo», e ciò lo si deduce anche
esaminando un altro passo che si incontra nel prosieguo di questa opera dove,
sempre riferito all'azione dell'Abate Pietro del Morrone compiuta in quel
convento: «La restaurazione di questo monastero apportò tanta gioia ai laici ed
ai frati delle vicine province...», dal che si capisce come le vicine province
altro non erano che i vicini feudi. Montagano e Faifoli, ad iniziare dagli anni
a cavallo tra il XII e l'inizio del XIII, e per tre secoli successivi
costituirono possedimento della signoria dei Santangelo la cui sede principale
era e rimase quella del castello di Sant'Angelo in Grotte (ora frazione del
Comune di Santa Maria del Molise). Fu nemesi storica?
Questo allora fu il «castrum» de «Santo Angeli» che dette la «cuna» a Celestino
V. Ma al figlio di contadini, Pietro d'Angeleri, capitò quel che accadde al
Divin Maestro allorché fece ritorno in Galilea dove incontrò i... suoi
detrattori, che, alle loro provocazioni, lui rispose: «Nemo propheta in patria
sua» (nessun profeta nella sua patria).
A Sant'Angelo Limosano e a Isernia, intanto, va dato atto e va riconosciuto loro
il merito da parte dei molisani di aver questo comune grande eroe della fede a
Patrono delle proprie città, e di averlo presentato alla venerazione delle
rispettive popolazioni, dedicandogli solenni feste religiose e civili,
organizzando in suo onore raduni sociali e culturali, dedicandogli campane,
altari e piazze, ed innalzandogli monumenti.
Sant'Angelo in Grotte, invece, mai si è gloriato di aver dato i natali al Papa
del «rifiuto», e nè lo poteva per l'invidia e la superbia (provenienti dal
peccato originale) degli uomini che, in quel tempo, detenevano il potere politico
in questo paese.
Michele Venditti, 1998 |