Il computo del tempo
5. Il calendario giuliano
Il termine calendario deriva dal latino calendarium, che
significa "libro dei conti", perché gli interessi dei prestiti si pagavano alle
calende, cioè il primo giorno di ogni mese.
Tutto ciò che sappiamo del più antico calendario di Roma e di
alcune città latine si fonda sul sistema greco, che seguiva nello stesso tempo
le fasi lunari e le stagioni solari; calcolava l'evoluzione lunare entro 29
giorni e mezzo, quella solare entro dodici mesi e mezzo lunari ossia 368 giorni
e tre quarti; il continuo alternarsi dei mesi pieni (di trenta giorni) e di
quelli di ventinove, come pure anni di dodici e tredici mesi.
Giulio Cesare decise di porre fine al disordine che regnava a
Roma nel computo dei giorni. Si erano infatti verificati degli abusi da parte
dei funzionari incaricati di regolare lo scorrere del tempo e, nel primo secolo
a.C., si arrivò a celebrare le feste con una stagione di anticipo.
Egli fece riformare il calendario seguendo i consigli
dell'astronomo greco Sosigene e ne stabilì le regole basate sul Sole.
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Il calendario giuliano fissò la durata degli anni comuni in 365
giorni e decise che ogni quattro anni ve ne sarebbe stato uno di 366.
L'anno avrebbe avuto inizio il 1° gennaio e la durata dei mesi
sarebbe stata di 31, 30 e 29 giorni.
L'anno giuliano ha un valore medio di 365,25 giorni cioè 365
giorni e un quarto. È superiore all'anno astronomico di 11 minuti e 14 secondi.
In cento anni, diventa superiore di circa tre quarti di giorno;
in mille anni, di circa otto giorni.
Il concilio di Nicea, che si tenne nel 325, fissò le regole per
stabilire la data di Pasqua. In quell'anno l'equinozio di primavera ebbe luogo
il 21 marzo.
Sosigene e Cesare l'avevano fissato il 25 marzo: erano ormai
passati più di tre secoli e lo scarto cominciava ad essere evidente. Inoltre,
nei secoli seguenti, il calendario giuliano continuò a basarsi sulle stagioni:
quest'aspetto pagano certo non piaceva alla chiesa. Per tali motivi si cominciò
a pensare a una nuova riforma.